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IL POPOLO MIGRATORE
(LE PEUPLE MIGRATEUR)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 24 dicembre 2001
 
di Jacques Perrin, co - diretto da Jacques Cluzaud et Michel Debats (Francia, 2001)
 
Un film può anche rappresentare una sfida: alle leggi della natura, ed a quelle della tecnica. Impresa fuori dalle norme, da parte di un produttore al quale dovevamo due bellissimi documentari sul mondo degli animali (LE PEUPLE SINGE e MICROCOSMOS), IL POPOLO MIGRATORE rispecchia una volta ancora l'intuito intelligente e spregiudicato di Jacques Perrin.

"Volevo comporre una sinfonia degli uccelli", dice colui che fu l'attore del Zurlini de IL DESERTO DEI TARTARI. E, un po' alla maniera di quei personaggi confinati ai limiti del deserto, ha fatto dell'attesa e della pazienza una ragione di vita durata tre anni. Tanti quanti gli sono occorsi per condurre in porto questa impresa smisurata: partire nei cinque continenti con sei squadre di riprese, centinaia di collaboratori e quaranta milioni di franchi svizzeri. Abituare, da perfetto interprete delle teorie di Konrad Lorenz, i neonati pennuti fin dal dischiudersi delle uova alla presenza dell'uomo. Alle loro voci, che dovranno diventare familiari; cosi come al rumore delle macchine, che serviranno a seguirli quando saranno cresciuti. Per riprenderli, quasi accarezzarli in volo; per volare - seguendo uno dei sogni più antichi dell'umanità - accanto a loro.

Per filmare 140 specie di uccelli, riportare a casa 450 chilometri (all'incirca 280 ore di proiezione…) da 38 paesi e 175 diverse locazioni Perrin e compagni inventano letteralmente degli oggetti volanti: non solo quei paracaduti motorizzati chiamati ULM, ma cineprese fissate su mongolfiere orientabili, robot appesi a mini-dirigibili, giroscopi e stabilizzatori. Tutta una serie di prodezze tecniche: che permettono di ottenere immagini certamente straordinarie. Dall'artico all'antartico, dall'Islanda alla Terra del Fuoco, ma pure da una New York nella quale si potevano ancora sfiorare le due torri alla Muraglia cinese, non solo una rassegna ornitologica: ma il sorvolo, filmato con la definizione (ed anche le alchimie numeriche?) permessa dalla tecnologia più recente, di molti fra i panorami più seducenti del globo.

Impresa smisurata e straordinaria, si diceva. Che forse, mi va di aggiungere, ha tolto un po' delle forze (o dei mezzi) che andavano dedicati alla post-produzione del film. Perché l'impressione è che tanto ben di Dio finisca per essere in parte sprecato: nell'assenza di una vera e propria organizzazione del materiale, della scelta di un itinerario, se documentaristico o poetico, se informativo o fantastico. Di un montaggio accurato, soprattutto: che detti i tempi, ed ancor più i toni del film.

La discesa nel mondo degli insetti di MICROCOSMOS non solo nasceva dalla sguardo di due ricercatori. Ma, pur costruito su di un antropomorfismo - la ricerca di un comportamento simile a quello dell'uomo degli animali - piuttosto contestato come gratuito e poco oggettivo, si affermava come una sinfonia perfettamente organizzata: dall'infinitamente piccolo dei bruchi sul filo d'erba all'infinitamente cosmico delle forze della natura che scatenavano il temporale sopra di essi. Al contrario, questa ascesa nell'universo dei volatili sembra incerta sul da farsi. Non rinuncia alla seduzione antropomorfica dei balletti flessuosi con i colli degli aironi; né ad una accentuazione musicale discutibile, o un commento off episodico e superfluo. Non approfondisce con continuità; ma nemmeno osa abbandonarsi all'astrazione ed a quel fantastico che stavano dietro l'angolo.

Fatica, insomma, a volare: il che, per delle portentose riprese fra gli uccelli è un po' il colmo.


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